Preambolo
In questi giorni si possono vedere i cartelloni affissi dalla Coop con
la fotografia di una mucca e del suo vitellino. In primo piano c’è un bollo con
la scritta “eccellente: Coop è la n. 1
nella tutela degli animali” e più in basso queste frasi: “Sempre dalla parte degli animali – La protezione
svizzera degli animali PSA promuove Coop a pieni voti per il suo impegno nella
protezione degli animali confermando, in qualità di ente indipendente, il
nostro impegno di lunga data nell’ambito del benessere degli animali”. Ovviamente nell’angolo a destra troviamo in
bella vista anche il sito della PSA.
Approfondendo l’argomento direttamente nel sito di Coop Svizzera, campeggia
in bella vista la fotografia di un sorridente
Hansueli Huber (direttore della Protezione svizzera degli animali) che esclama
soddisfatto: “con i propri acquisti, la
clientela decide come sono allevati gli animali da reddito”. Poco più sopra Coop scrive di aver conquistato il primo posto nell’ultimo
rapporto della PSA sul “benessere degli animali nel commercio di alimentari”.
Accanto spiega le strategie per promuovere il benessere degli animali: la
provenienza svizzera e la pesca sostenibile. Delucidano:
- Carne e uova Naturafarm
sottostanno a severe direttive: nascita, allevamento e lavorazione avvengono in
Svizzera. Gli animali sono allevati all’aperto o con possibilità di uscita.
- Dal 2000, Coop sta adeguando l’assortimento
ittico alla provenienza sostenibile. Per il pesce di cattura, Coop punta sul
label MSC, e per i prodotti di allevamento sul bio.
In riferimento a quest’ultima affermazione andiamo ad osservare la
promozione della pesca sostenibile in un’immagine con un tonno in mare, recante
i loghi di Coop e WWF. Il titolo è “e io
cosa posso fare?”. La risposta di queste due aziende (!) è semplice: questi pesci e frutti di mare potrete
gustarli senza rimorsi.
Secondo il comunicato stampa dell’azienda, la PSA intrattiene con la
Coop una partnership di successo a favore
di un allevamento degli animali da reddito rispettoso della specie, poiché controlla il rispetto delle direttive dei
programmi dei label Porc, Vitello, Pollo e Uova Naturafarm. Inoltre, la PSA procede a controlli a campione
supplementari nei programmi Natura-Beef e natura-Veal e su incarico Coop sorveglia anche i trasporti e la
macellazione di animali Naturafarm. Coop desidera che gli standard svizzeri
siano estesi anche ai produttori-fornitori esteri e la PSA intende sostenere questo ambizioso processo sotto forma di audit
(stabulazioni, trasporti, mattatoi). Per alcuni allevamenti di importazione
(che soddisfano lo standard svizzero) la
PSA giudicherà la produzione in ambito di audit in loco.
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E ora...
Leggendo tutto questo, alcuni affermeranno un “finalmente”, sentendosi
liberi di mangiare carne o pesce in grandi quantità senza più provare il minimo
senso di colpa. Coop con questa “pubblicità” non sta facendo altro che remare
contro coloro che si adoperano affannosamente contro l’uccisione (“felice” o
meno) e lo sfruttamento degli animali. Le poche persone in dubbio si sentiranno
più libere nell’acquistare carne o pesce (animali morti) che hanno vissuto
secondo gli standard dei label.
Prima di parlare degli animali stessi, una cosa che mi è rimasta
impressa è l’impegno della PSA in questa causa. La PSA è un’associazione (nata
nel 1840) che si prefigge di fare il
possibile per far valere il diritto degli animali ad una vita dignitosa e
rispettosa della loro natura (…) perché per noi gli animali non sono una merce,
ma esseri viventi come noi. Il loro “impegno” con Coop non è forse in
contrasto ai principi che presentano come solidi e immutabili? È ovvio che un
allevamento “dignitoso” (se mai si possano definire così) è migliore di un
allevamento intensivo, ma lo scopo primario delle persone animaliste è quello di
impedire l’uccisione delle specie animali. Stando ai presupposti che abbiamo
letto, la PSA ritiene che le creature viventi non siano una merce. Ma lavorando
al progetto Coop e sorvegliando le macellazioni, contravvengono ai principi
stessi sui quali si è fondata e dovrebbe lavorare l’associazione stessa.
Il fatto che gli animali vivano con “benessere” (più avanti parleremo
anche di questa definizione illusoria), non significa che la morte per mano
dell’uomo sia un finale dignitoso. In ogni caso la bestia sarà uccisa,
smembrata e data in pasto agli esseri umani carnisti; nel caso dei pesci, di
allevamento o di cattura, la morte sarà comunque la stessa: quella per
soffocamento. Un animale che vive “in libertà” (allo stesso modo di quello d’allevamento
intensivo) avrà comunque paura della morte, la rifuggirà, cercherà di
aggrapparsi a tutte le sue forze per non farsi assassinare. Nessun metodo di
uccisione è dolce e nessuna morte è rispettosa della vita che spezza.
Desidero farvi un esempio adoperando l’essere umano come paragone (di
fatto la sofferenza, la paura e le sfumature emotive sono le stesse*1): se
prendiamo una persona che desidera vivere e le diciamo che morirà (gli animali
lo percepiscono nettamente*1), avrà paura, sarà terrorizzata. Ora provate ad
immaginare che quella persona siete voi: sapere che vi uccideranno con un colpo
di pistola (quindi con un metodo considerato “umano” poiché pressoché “immediato”),
vi farebbe sentire meglio? E immaginate che questa persona sia messa in coda
dietro altri esseri umani che saranno uccisi prima di lei, in modo che comunque
possa vedere la loro morte (*2). Cosa provereste?
L’uomo, a differenza dell’animale non umano, tende a pensare che sia
peggio la morte di una persona vissuta libera anziché quella di chi ha vissuto
per sempre in una prigione (e qui c’è il paragone animale “libero” e animale “rinchiuso”).
Sapete perché? Perché l’essere umano vede nella morte dopo prigionia… una
liberazione. L’animale non umano, invece, ha un attaccamento alla vita superiore
al nostro, quindi la subirà sempre lottando per vivere ad ogni costo e in
qualunque condizione, a meno che non sia lui stesso a lasciarsi andare (ma
questo accade solitamente prima del tempo “prestabilito” dall’allevatore per la
macellazione).
Alcuni ritengono che il paragone tra l’animale e l’umano sia “fuori
luogo”. Questo giunge dall’idea che l’uomo sia superiore a qualunque forma di
vita e provi maggiori emozioni: purtroppo non è vero. Gli animali non umani
provano emozioni e riconoscono i pericoli (*1 + *3), quindi il paragone con noi
non è affatto errato e dobbiamo accettare il fatto che essi siano simili a noi
emotivamente (per gli scettici è anche stato -purtroppo- dimostrato
scientificamente *4 e prima di allora anche ipotizzato da Darwin*5).
Veniamo al “benessere”. Nelle direttive Naturafarm abbiamo letto che “gli animali sono allevati all’aperto o con
possibilità di uscita”. Questi ultimi non hanno, quindi, nessuna libertà in
quanto è l’allevatore stesso a decidere se, quando e come possono uscire. Il bestiame
allevato all’aperto, invece, sottosta comunque a regole e non può vivere
seguendo l’istinto.
Il latte viene munto dalle
mucche che ne producono una certa quantità in maniera naturale. Per soddisfare
la richiesta (non il bisogno!) procapite, questa quantità non è sufficiente. Per
questo motivo le mucche sono ingravidate: produrranno molto più latte. E il
vitello, direte voi? Il vitello avrà vita breve, purtroppo. E una volta
terminato il ciclo, la mucca sarà rimessa incinta. Tutto questo ciclicamente,
finché non sarà uccisa e macellata. È vero: esistono anche gli allevamenti di
vacche nutrici, dove i vitellini crescono all’interno della mandria a stretto
contatto con le fattrici (dalle quali possono bere il latte direttamente) e a
volte con i tori. È la forma di allevamento più naturale al mondo. Ma
allevamento significa morte certa, in ogni caso.
Le uova sono “prodotte” in maniera naturale dalle galline. Senza
parlare degli allevamenti di produzione intensiva (una cosa orribile della quale
parlerò prossimamente), possiamo affermare che quando questa creatura smette di
fare le uova, viene uccisa. E come fanno con i piccolini, se le uova sono
fecondate? Li lasciano nascere e poi selezionano. Cosa significa? Significa che
le nuove galline femmine saranno cresciute per produrre uova, mentre i maschi
hanno due alternative: l’uccisione immediata (perché non utili), oppure la
crescita fino al giorno del macello.
Nel “Rapporto di sostenibilità 2012” (*6) del Gruppo Coop (pagina 17)
si legge che da un sondaggio
rappresentativo, condotto nel 2012 dal reparto ricerche di mercato Coop in
collaborazione con l’istituto Link, risulta chiaramente che il benessere degli
animali è un aspetto al quale gli svizzeri tengono molto”. Allora perché mangiare i nostri amici?
Potrei e vorrei andare avanti ancora per molto, parlandovi a cuore
aperto di molte argomentazioni legate al bio, agli allevamento “all’aperto” o “in
libertà”, alla tutela del benessere animale. Il punto è che non so quanto le
persone abbiano voglia di sapere. Mi sembra che sia più comodo tagliarsi una
parte di cervello. Mi spiego meglio: chiunque ora è in grado di venire a conoscenza
dei metodi utilizzati nella produzione di carne, pesce, latticini, uova e altri
prodotti animali. E molte persone lo sanno. Quello che non capisco è come sia
possibile dissociare la conoscenza nel momento in cui mettete in bocca un pezzo
di animale o un suo “prodotto”. Il “sapore” e quindi il “desiderio di cibarsene”
è più forte del rispetto verso di loro? È più forte della compassione e della
giustizia? È più forte delle immagini di sangue, violenza e morte che magari
avete occasionalmente (intra)visto?
Ad ogni modo il cartellone è fuorviante e lo etichetto come una
pubblicità ingannevole: sembra che gli animali siano felici di farsi ammazzare
per essere mangiati da noi: questo nasconde a tutti la verità. Inoltre, mi
sembra anche un modo per promuovere la PSA, che in questo caso ha disatteso i
suoi stessi presupposti, sui quali fu fondata 170 anni or sono.
Scegliete di informarvi, non lasciatevi riempire artificialmente il
cervello dalle multinazionali. Esse sono nate unicamente a scopo di lucro e
questo non dovreste mai dimenticarlo. I soldi sono il loro fine: NON il vostro
benessere e NON il benessere animale. Come loro stessa ammissione, hanno dato
il via alla “tutela” degli animali da reddito per “rispondere alle esigenze dei clienti che chiedono carne da allevamenti
rispettosi degli animali” (*6, pagina 18, primo paragrafo). Davvero credete
lo abbiano fatto per voi e non per vendere di più?
Ora chiederete cosa vogliamo, qual è il nostro scopo.
Posso assicurarvi che la risposta è semplicissima: rispetto e diritto
alla vita per qualunque essere vivente.
E in secondo piano aggiungere un’informazione finalmente veritiera,
che non tratti il cittadino come un inanimato burattino.
Vogliamo un mondo migliore, per loro e poi per noi. Aiutateci.
SP
SP
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*1 - Approfondimento: Marc
Bekoff, “La vita emozionale degli animali”, Ed. Oasi Alberto Perdisa, 2010
*2 - Approfondimento: Jonathan Safran Foer, “Se niente importa”, Ed.
Guanda, 2010
*3 - Approfondimento: Hal Herzog, “Amati, odiati, mangiati”, Ed. Bollati
Boringhieri, 2012
*4 - Oltre ai vivisettori (sorvolo il commento personale e preciso che
farei a meno di interpellare la vivisezione per confermare quanto ho detto, ma
alcuni hanno bisogno di queste cose per credere!), anche la maggior parte degli
studiosi e dei ricercatori di zooantropologia potranno fornirvi tutte le
indicazioni necessarie.
*5 - Approfondimento: Charles Darwin, “L’espressione delle emozioni
negli animali e nell’uomo”